Sergio Natalia, già sindaco di Canistro e segretario della federazione marsicana del Pds-Ds dal 1997 al 2000, ha voluto ricordare Giancarlo Cantelmi, scomparso lo scorso 14 ottobre.

Gli ha scritto una lunga e intensa lettera postuma che ospitiamo volentieri.

 

Caro Onorevole, ti scrivo...

Caro Onorevole, nella Marsica e nel partito tutti ti chiamavano così. Onorevole non solo perché hai fatto il parlamentare per due legislature, ma anche perché era onorevole il tuo modo elegante di confrontarti, il portamento raffinato, lo stile sobrio, la tua educazione, l’eloquio forbito, la tua statura morale.

Nel momento in cui ci hai lasciato, come un impulso inconscio ho sentito il bisogno di scriverti una lettera, riannodando il filo dei nostri rapporti epistolari imbastito qualche lustro fa. In fondo, scrivere, riversare i propri sentimenti sulla carta, è il modo migliore per elaborare una perdita, per sanare una ferita.

Ti ho conosciuto nel lontano 1976, avevo 15 anni, in un bel giorno per il popolo di sinistra, il 25 aprile.

Eri alle soglie dei 50 anni e sei venuto a Canistro, il mio paese, a celebrare, insieme al giovane Sindaco, democristiano, il trentunesimo anniversario della Liberazione, ricorrenza a te particolarmente cara. Ricordo ancora il tuo discorso. Rimasi affascinato dalla tua oratoria incisiva, persuasiva, spesso interrotta da pause, da abile penalista quale eri.

Alla fine del tuo discorso venni a stringerti timidamente la mano. Eri attorniato da bandiere rosse con la falce e martello e da bandiere con lo scudo crociato. L’Italia si avviava verso la stagione del compromesso storico, suggellato nelle successive elezioni di luglio dall’accordo Moro-Berlinguer. Iniziava la stagione, breve ma intensa, dell’Unità Nazionale, densa di riforme importanti e positive per il nostro Paese, e iniziava per te, con  la VII legislatura – 1976/1979 – l’esperienza parlamentare, poi continuata nella stagione successiva, nell’VIII legislatura – 1979/1983.
Hai fatto il Parlamentare con Berlinguer alla guida del Partito Comunista Italiano e Ingrao, prima, e Jotti, poi, Presidenti della Camera dei Deputati, Pertini era al Quirinale.
La tua fama di abile oratore mi portarono qualche anno dopo a fare l’autostop per venirti ad ascoltare in un vibrante comizio per le elezioni politiche del 1979 che facesti sulla piazza di Celano, cui eri legatissimo.
A Celano hai rivestito anche il ruolo di Sindaco nei primi anni ’60. Quando mi parlavi di Celano, i tuoi occhi brillavano, ti inquietava  che un Comune di tradizione rossa, progressista, protagonista delle lotte del Fucino, potesse essere oggi guidato da forze di destra. Ma hai sempre detto di rispettare gli avversari e di inchinarsi alla volontà popolare.

All’epoca, per noi giovani di sinistra, eri una sorta di mito. Protagonista della Resistenza marsicana, membro della Banda Ombrone – diramazione della “banda Marsica” – vi rivestivi l'importante ruolo di Comandante di Squadre, nonostante fossi un giovane liceale di soli 18 anni. Per questo motivo hai ottenuto la qualifica di Partigiano. Per questo sei stato il Primo Presidente all’atto della fondazione dell’ANPI, Sezione della Marsica, a cui non hai mai fatto mancare il sostegno.

Tu eri molto riservato ma nel corso della nostra amicizia mi hai raccontato degli anni immediatamente successivi alla Liberazione, quando diventasti uno dei leader delle lotte del Fucino per l’affrancamento dal dominio dei Torlonia, sfuggendo per miracolo a un attentato per mano di fascisti locali e delle forze dell’ordine. Accadde durante una manifestazione per il lavoro sulla piazza di Celano il 30 aprile del 1950. Allora eri giovane segretario del PCI locale, ed eri il vero bersaglio, il principale, colui che bisognava far tacere, dopo che, come mi hai detto una volta, avevano invano cercato di corromperti.

Nella stessa piazza molti anni prima, la sera del 14 maggio 1921, a chiusura della campagna elettorale, dinanzi ad una folla straripante, un giovane sindaco socialista, Filippo Carusi, avvocato, con la tua stessa tempra morale ed animato dagli stessi ideali, impegnato sul palco in un acceso discorso, scampò per miracolo al piombo di sicari, dietro a cui si nascondeva un potente politico locale. Filippo Carusi – poi esiliato dal fascismo – fu colui che nei primi del ‘900 coniò una nuova parola d'ordine «Il Fucino ai contadini». Carusi si salvò riparandosi nella vicina farmacia.

Tu, invece, ti salvasti riparandoti dietro dei pali di cemento, per fortuna adagiati sulla piazza. Una volta mi hai narrato, con dovizia di particolari, quel luttuoso evento, in cui persero la vita due giovani braccianti, «morte pe' la terra e pe' le pane!» come scriveva l’amico Romolo Liberale in una sua ode (Hanne sparate a Celano, in "Ce vo' ne muenne gnove", 1953). Mi hai confessato che ad ogni ricorrenza di quel giorno vivevi due sentimenti opposti: quello triste, per il ricordo della perdita di due compagni e quello di gioia mesta, per lo scampato pericolo. Mi dicevi «Sergio, vedevo le pallottole che si infrangevano sui sampietrini a pochi metri da me». 

In fondo, le stesse cose che raccontavi ai braccianti analfabeti di Celano poche ore dopo i fatti, come scriveva Luigi Pintor sulle pagine de l’Unità il 3 maggio 1950, definendoti «energico» e «calmo». Tratti distintivi di te.

Avevamo cominciato a scrivere insieme un capitolo di un libro più ampio su questo argomento. Poi, purtroppo, il progetto si è arenato.

Mi hai anche raccontato, con grande emozione, il successivo incontro a Roma con Di Vittorio e le considerazioni del mitico segretario della CGIL sull’eccidio. Quell’eccidio voleva arrestare il grande movimento di massa iniziato con lo “Sciopero a rovescio” del febbraio 1950 alla testa del quale eri insieme altri giovani «di ferro», come diceva Rosini, altro grande protagonista di quella stagione. In quel periodo di feroce repressione,  insieme a tanti compagni sperimentasti anche il carcere. L’eccidio di Celano, insieme a quello di Ortucchio di qualche anno prima, a differenza di quanto si aspettassero le forze della reazione, rafforzò il movimento di lotta. Un movimento sempre più impetuoso che sfociò, dopo altre dure lotte, nell’assegnazione delle terre ai contadini e nella «cacciata di Torlonia», mettendo fine al dominio del Principe. Lotte epiche, parte integrante della storia fucense, animate dalle forze progressiste e guidate da personaggi ancora vivi nel pantheon della sinistra marsicana.

Con l’esproprio del Fucino, coronamento di 75 anni di intensa lotta, tutta la tua generazione, ha assolto, portato a compimento positivo, il compito che la storia vi aveva assegnato: la risoluzione nella Marsica della «questione contadina».

Ricordo ancora il tuo imbarazzo,  il giorno in cui, insieme a Romolo Liberale e Antonio Rosini, celebravamo all’Arssa l'anniversario della Riforma del Fucino, al mio intervento piuttosto critico sul “dopo riforma”. Però, come sempre, come era tuo costume, dopo una mezz’oretta di accesa discussione, in cui ascoltavi con molta attenzione – ascoltare attentamente le persone guardandole negli occhi era un tuo grande pregio - mi congedasti dicendomi: «Le cose che hai detto hanno bisogno di una riflessione approfondita. Ne riparleremo sicuramente». Ancora una volta la reazione emotiva, impulsiva, aveva ceduto il passo alla riflessione ponderata, da un lato, un portato del tuo carattere, dall’altro della tua professione. Un penalista come te, tra i più bravi del foro di Avezzano, iscritto all’Albo degli Avvocati dal 1960 fino al giorno in cui ci hai lasciato, doveva sempre far prevalere il ragionamento, sulla reazione istintiva. Giustamente il Presidente dell’Ordine degli Avvocati ha ricordato il tuo impegno a favore del Tribunale di Avezzano nella sua orazione funebre. 

Ti voglio dire che sei stato molto importante per me, in particolare quando fui chiamato a guidare il Partito Democratico della Sinistra marsicano 1997.

In realtà, io conoscevo te ma tu ancora non mi conoscevi. Rammento che dopo una mia intervista su “Il Centro” da neosegretario del partito, hai manifestato ad un amico comune il desiderio di incontrarmi. Venni a Celano nel tuo studio, luogo accogliente, ordinato, pieno di libri, dove mi accoglieva sempre tuo figlio e collega, Daniele. Eri molto professionale, diventavi affettuoso solo alla vista del caro nipotino. Parlammo del partito e del futuro della Sinistra. Ti ascoltavo con grande interesse. Sei riuscito a “raccontarmi”, in poco tempo, la storia del partito marsicano e a delineare, organicamente, dicendola con Gramsci, le cose da fare subito. Concordammo che avresti fatto il Presidente del Comitato dei Garanti ed hai svolto questo importante ruolo con impegno e imparzialità e con grande rigore morale.

Ricordo ancora le amarezze e le soddisfazioni che abbiamo condiviso. Mi sei stato sempre vicino, soprattutto nei passaggi più delicati.

Allora il partito era un corpo reale, vero ed i conflitti erano all’ordine del giorno. Mi hai insegnato che i conflitti, anche quelli più duri, i problemi più complessi,  si risolvono con il ragionamento e la trattativa ed ascoltando attentamente le ragioni degli altri. All’ascolto, una tua grande dote, purtroppo non siamo più abituati, fagocitati dalla frenesia e dall’assillo dei social, di cui tu diffidavi. Infatti, non ho mai avuto il tuo cellulare, ti ho sempre chiamato al numero fisso di casa o dello studio. Numero che ancora ricordo a memoria.

Mi hai insegnato che la politica deve avere a fondamento un riferimento etico, deve essere orientata al bene comune ed a risolvere i problemi, soprattutto quelli degli ultimi, a trovare sempre una soluzione unitaria, senza mai strappare. A tal proposito, come posso dimenticare quando, nella primavera del 1999, io e te, dopo 6 ore di intensa discussione, alle 4 di notte, ci appartammo in un angusto locale del comune di Celano, forse poco più di 3 mq di spazio, e, mettendo da  parte rancori ed affetti familiari, ponesti fine con garbo e razionalità alla diatriba sulla scelta del nostro candidato sindaco di Celano. Di lì a poco riconquistammo finalmente il comune. 

Infine, come dimenticare le lettere ed i libri che ci siamo scambiati nel momento in cui ho lasciato la guida della Federazione. Lettere in cui ti ringraziavo per le tue qualità, l’attaccamento al partito, il senso di responsabilità.

In questi ultimi anni, in cui ti sei molto impegnato nel campo associativo, più che la politica ci ha unito il comune amore per la storia. Quando venivo a Celano a presentare libri miei o di amici, eri sempre presente: alla fine della presentazione correvo da te per avere un parere, come l’alunno verso il saggio professore. Ti sedevi quasi sempre in ultima fila, lo ha ricordato il sacerdote nell’omelia in chiesa. Il sacerdote ti ha definito un “artigiano delle parole”, per il tuo modo di parlare colto ma sempre sobrio e controllato. Ti sei aperto con me fino al punto di confidarmi il tuo rapporto con la fede. Dicevi, a me laico,  che dopo un periodo giovanile in cui hai attraversato una grande crisi religiosa, ti sei riavvicinato al “Cristianesimo”, le cui istanze più profonde, per te, come per Silone, combaciavano con il socialismo.

Ci hai lasciato accompagnato dagli ideali che ti hanno guidato per tutta la vita: l’amore per la famiglia, per la politica, per il partito, per la tua Celano e la fiducia, da te mai messa in forse, nell’avvenire. Sei sempre stato convinto che le nostre idee alla fine avrebbero trionfato. E la fiducia verso il futuro ti ha sempre portato a credere nei giovani, a farti interprete delle loro istanze di cambiamento.

Grazie, caro Onorevole, per quello che ci hai lasciato. Per me resterai sempre l’interprete più elegante e più saggio del grande e mitico “novecento” marsicano.

20 ottobre 2023

Sergio Natalia