In pochi sanno, o forse ricordano, che nel 1968 c’è stato un grande sciopero in una fabbrica di Lanciano, in provincia di Chieti, un episodio di lotta operaia particolarmente perché è stato guidato da un gruppo di donne: le lavoratrici del tabacchificio ATI.

E intorno a questo fatto realmente accaduto un’autrice ha scritto un romanzo. Racconta la storia di una ragazza, ma in realtà rende omaggio a quelle donne forti e tenaci.

Nina è cresciuta in un brefotrofio. È una trovatella, abbandonata a poche ore di vita nella ruota dell’istituto, nel dicembre del 1946. Nel brefotrofio vengono distinti i trovatelli dagli orfani: quest’ultimi, infatti, conservano memoria di un passato, di volti e mani carezzevoli, di favole raccontate. Con loro le suore sono più indulgenti, perché «a loro la sfortuna era capitata per caso o perché Dio aveva voluto così»; mentre i trovatelli scontano la colpa di essere stati abbandonati in fasce, da «genitori scriteriati, le madri soprattutto. Sembrava dessero fastidio, o ricordassero qualcosa che andava dimenticato ma che la loro presenza si ostinava a evocare».

Si apre così Il pozzo delle bambole, il romanzo di Simona Baldelli edito da Sellerio e uscito lo scorso marzo nelle librerie.

Il libro narra la storia della giovane Nina, cresciuta in un brefotrofio di Lanciano, in provincia di Chieti, insieme a tanti altri sfortunati come lei, allevati dalle suore che gestiscono l’istituto, ognuna delle quali incarna uno stereotipo: la Madre Superiora, algida e severa, suor Immacolata che accoglie i neonati e i bambini, l’unica con un vago istinto materno, che li coccola e li cresce come meglio può, fino a suor Benedetta, sadica e violenta.

La vita di Nina scorre sempre uguale dentro le mura dell’istituto, salvo in alcuni momenti dell’anno, quando i bambini vengono preparati e fatti mettere in posa per delle fotografie. È il momento che anticipa “l’esposizione”, dove alcuni fortunati (quasi sempre i neonati o più piccoli) troveranno delle famiglie che li adotteranno. Gli anni passano e fuori dal brefotrofio si snoda la storia: il boom economico, il dualismo Coppi-Bartali, l’elezione di Kennedy, negli Stati Uniti, fino alla sua morte seguita da quella di Martin Luther King. 

Nina appunta parole su dei diari, attività che pratica fin da bambina, che spiegano concetti a volte complessi, a volte semplici, ma di cui lei ignora l’esistenza. Così facendo, da autodidatta si educa, non solo a livello scolastico ma anche emotivo, sociale, e in seguito lavorativo.

La ragazza, infatti, uscita dal brefotrofio, troverà lavoro nel tabacchificio cittadino, grazie all’aiuto di una sua ex compagna, Marcella.

Ed è qui che arriva il punto di snodo dell’intero romanzo: la scrittrice Simona Baldelli parte da un fatto di cronaca realmente accaduto nella città di Lanciano, intorno al quale costruisce l’intero arco narrativo della sua opera.

Siamo nel 1968 e se fino a questo momento l’istituto e la vita al suo interno erano fittizi (a Lanciano, infatti, non è mai esistito un brefotrofio), la vita operaia del tabacchificio ATI e lo sciopero conseguente sono realmente accaduti. 

Baldelli, grazie anche ad articoli di giornale e testimonianze raccolte, ricostruisce il lavoro delle tabacchine, le loro lotte operaie e i tumulti accaduti a Lanciano nel giugno del 1968.

La protagonista, lungo le pagine del romanzo, vive le fatiche delle giornate lavorative insieme ad altre donne: mogli che con il loro lavoro mandano avanti la famiglia, madri costrette a portare i figli a lavoro e lasciarli in una stanza adibita a nido, donne passionarie che fanno da intermediarie tra le operaie, i sindacati e i dirigenti d’azienda.

L’ATI di Lanciano era il più importante tabacchificio del centro Italia, che dava lavoro a circa duemila persone, per lo più donne. Con la meccanizzazione progressiva dello stabilimento, nel maggio del 1968 l’azienda comunica che ci sarebbero stati circa 400 licenziamenti. Ed è così che le tabacchine proclamano un primo sciopero per il 28 maggio, occupando la fabbrica per 40 giorni. Nel frattempo, nella vana speranza di placare gli animi, l’onorevole Remo Gaspari (di intesa con il prefetto) ipotizza di spostare la sede del tabacchificio altrove, a Vasto per l’esattezza.

In quei giorni concitati, alle tabacchine è stato detto di tutto: che erano matte, incoscienti, e anche peggio perché lasciavano a casa mariti e figli per occupare una fabbrica, dormendo per terra o sulle foglie di tabacco non lavorato. La loro colpa? Difendere i propri diritti e il proprio lavoro, che assicurava loro l’indipendenza economica e sociale, ma anche il benessere economico dell’intera città.

Già, perché ben presto lo sciopero delle operaie dell’ATI iniziò ad avere ripercussioni negative anche per altri esercizi commerciali di Lanciano, che si erano tuttavia mostrati solidali con le operaie, abbassando le loro saracinesche in segno di protesta.

Passate circa due settimane dall’inizio dell’occupazione, le operaie decidono di proclamare uno sciopero generale per il 4 giugno, che vedeva il coinvolgimento non solo del tabacchificio ma anche di altri operai, studenti, ferrotranvieri della Sangritana. I venti del ’68 erano giunti anche in Abruzzo, alla fine. 

Tuttavia, la giornata del 4 giugno prende presto una piega drammatica: alcuni uffici (tra cui le Poste e il Municipio) vengono presi d’assalto e l’arrivo della polizia peggiora la situazione, tra manganellate sui manifestanti e gas lacrimogeni.

Alla fine, però, gli sforzi e i sacrifici delle tabacchine danno i loro frutti: i dirigenti d’azienda annunciano che non ci sarebbero stati licenziamenti e che la sede della fabbrica sarebbe rimasta a Lanciano. E la storia dell’ATI, nel romanzo, termina qui.

 

Ma nella memoria dei lancianesi il ricordo è ancora vivo, grazie anche al lavoro dell’Associazione Culturale L’Altritalia che ha pubblicato il volume “TABACCHINE 1968” in occasione del cinquantenario dello sciopero, e alla realizzazione – nel 2008 – del documentario “Le Tabacchine inSorgono” di Emanuela D’Ortona, che ha raccolto le testimonianze delle protagoniste di quei giorni.

 

In appendice al suo libro, Simona Baldelli racconta che dopo l’occupazione venne costruito un tabacchificio più piccolo, successivamente spostato nella zona della Val di Sangro. Il numero delle operaie diminuì gradualmente, fino alla chiusura dell’attività.

Infine, nel 2000, lo storico edificio dell’ATI in viale dei Cappuccini a Lanciano venne abbattuto.


Se volete saperne di più sulle tabacchine di Lanciano e sul loro mondo, potete recuperare il libro curato da Antonio D’Orazio e Vittorio Morelli, Le tabacchine, Ires Abruzzo, Pescara, 2008