In questi anni, Mimmo ed io ci siamo sentiti spesso per telefono; e, quando scrivevo ancora sul mio blog “Punto e a capo”, spesso gli inviavo il testo degli articoli per farglieli leggere in anteprima e sentire così il suo parere: di lui e dei suoi giudizi mi fidavo, perché la dimestichezza tra noi era diventata tale nel tempo che era difficile che il confronto tra noi e anche, a volte, lo scontro, potessero non risultare utili. Da questo punto di vista, qualunque sia il tempo che mi resta, Mimmo mi mancherà…

 

Ma non è di questo che, nelle note che seguono, voglio parlare per ricordarlo. Voglio piuttosto ricordare, sia pure per grandi linee, i tempi nei quali sia lui che io abbiamo operato; e ricordare, anche qui naturalmente per cenni, qualcosa del contributo che in quelle circostanze abbiamo dato sia io che lui e tutti gli altri che a quelle vicende hanno partecipato (siamo sempre stati e abbiamo sempre operato come collettivo, il PCI del resto è stato sempre questo). 

Prima però voglio sottolineare un punto: come in tanti abbiamo potuto vedere, Mimmo - anche nei momenti di maggiore difficoltà per i problemi fisici che ha dovuto affrontare in questi ultimi anni - è stato sempre molto presente e attivo nel dibattito politico nazionale e regionale. E sulla nascita e sviluppo del  PD, che si è svolto in questo periodo soprattutto sui social, a partire da Facebook, è sempre stato attento e partecipe. 

Mimmo - d’altronde come tanti altri, che provengono dalla sua stessa storia - dopo la fine del PCI e della filiera PDS e DS e la costituzione del PD non ha mai pensato, pur non avendo ruoli di alcun genere da far valere nel nuovo assetto politico del Paese e dello stesso PD, di ritirarsi a vita privata e lasciare che il mondo andasse avanti purchessia.

Ha scelto invece di continuare a dare il suo apporto di idee e di esperienza per la ricerca e l’affermazione di vie e modi nuovi in grado di portare avanti e dare nuovi sbocchi alle lotte e alle speranze che si incarnavano ieri nel PCI, del quale egli è stato un militante e un dirigente tra i più apprezzati, non solo nella provincia di Chieti ma anche in Abruzzo. 

La ragione di questa sua presenza attiva e intensa è presto detta:  Mimmo – e tanti altri con lui – non ha mai pensato che, con la fine del PCI, fosse finita la battaglia per la costruzione di un mondo migliore che l’aveva portato in gioventù a militare nel PCI. Era convinto, anzi, che di questa battaglia ci fosse oggi più bisogno che mai.

Ed è proprio questa battaglia che lui ha voluto continuare; e continuarla, non con la testa rivolta all’indietro ma guardando al futuro e aiutando a ricercare ed esplorare forme e vie nuove per inverare e rendere concreti quegli ideali di giustizia sociale, di progresso e di pace che sono stati il perno della sua militanza nel PCI. In questa scelta non c’era solo la voglia di non rinchiudersi nel proprio privato, dopo una vita spesa per la politica e, attraverso la politica, a servizio della società italiana e di una prospettiva di rinnovamento sociale e culturale quale era appunto quella per la quale combattevano i comunisti. C’era anche questo ovviamente, ma c’era soprattutto quella convinzione profonda che aveva convinto lui e tanti altri a compiere a suo tempo come scelta di vita (per ricordare le parole di Giorgio Amendola) un impegno a tempo pieno nel PCI e nella sua organizzazione come funzionario: perché per cambiare il mondo non solo bisogna esserci in modo organizzato, ma anche esserci non per interpretarlo e (come scriveva Marx) per cambiarlo.

Quando Mimmo entrò a far parte, come funzionario, della grande famiglia del PCI, eravamo intorno alla metà degli anni ‘60; e segretario provinciale del partito era Peppe d’Alonzo, mentre io – tornato a Chieti, dopo l’esperienza di circa due anni nel PCI marsicano - ero il responsabile dell’organizzazione.

Da lì iniziò un percorso che portò Mimmo via via ad assumere sempre maggiori responsabilità all’interno del partito; e anche, tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, ruoli istituzionali sempre più autorevoli. Mimmo, infatti, nell’ottobre del 1975, diventò segretario di Federazione, quando io lasciai la segreteria provinciale e andai a lavorare nel Comitato Regionale del partito diretto allora da Gigetto Sandirocco, che a sua volta aveva sostituito in quell’incarico Renzo Trivelli chiamato a lavorare a Roma con Enrico Berlinguer. Mentre, sul piano istituzionale, Mimmo fu eletto prima consigliere provinciale nel collegio di San Salvo-Cupello sia nel 1970 che nel 1975 (questa scelta era dettata dal fatto che il collegio di Chieti non era in grado di eleggere al Consiglio provinciale un candidato del PCI);  e poi, nel 1980 e ancora nel 1985, consigliere regionale.

Questo percorso - così importante e di primo piano, tenendo conto del fatto che all’epoca i comunisti erano all’opposizione, sia alla Regione che sul piano nazionale - era naturalmente (come usava per tutti allora) innanzitutto il frutto dell’impegno che ognuno era capace di mettere nel lavoro, ma anche della qualità del contributo che ognuno era in grado di portare allo sviluppo della iniziativa politica del partito: anche questo è stato il PCI nella sua storia, una forza politica e insieme una comunità di valori e ideali che ti formava e però chiedeva sempre il meglio da tutti, sapendo nello stesso tempo anche riconoscere sempre meriti e capacità.

In quegli anni il PCI – anche grazie ai risultati delle elezioni politiche del 1963  - stava uscendo dal lungo isolamento politico nel quale l’aveva cacciato  la sconfitta subìta nel 1948 dal fronte Popolare (PSI e PCI alleati e con una lista unica, quella appunto del Fronte Popolare con la testa di Garibaldi come simbolo).

In sostanza, si stava aprendo una fase nuova nella vicenda politica nazionale. Da un lato si esprimeva con la fine del centrismo e di ciò che esso aveva significato negli anni ‘50, con lo scelbismo e la repressione delle lotte popolari per la terra  e per il lavoro (soprattutto nel Sud) il tentativo di mettere in mora la Costituzione, in particolare dal lato della partecipazione popolare alla vita politica, sociale e culturale del Paese. Dall’altro si chiedeva però anche il passaggio a equilibri politici nuovi e più avanzati, con l’apertura al PSI nel governo nazionale. 

Questa spinta - che doveva poi tradursi nella formazione del centro-sinistra - la DC tentò di trasformarla in una nuova occasione per accrescere l’isolamento del PCI e rompere l’unità che univa PCI e PSI in gangli fondamentali della vita nazionale (nei sindacati, nella cooperazione, negli enti locali), ma la cosa non funzionò: il PCI - grazie innanzitutto all’intelligenza di Togliatti e all’impegno di tutto il suo gruppo dirigente - non solo riuscì a sventare la manovra, salvaguardando l’unità tradizionale che correva tra i due partiti (salvo che per la loro diversità di collocazione nel governo del Paese), ma seppe anche aprirsi nuovi spazi e nuove opportunità di iniziativa sia a livello dei singoli territori che sul piano nazionale. E, da questo punto di vista, l’innesto di una forza giovane nell’apparato provinciale come quella rappresentata da Mimmo contribuì non poco a rilanciare la nostra iniziativa nella provincia di Chieti anche sul piano organizzativo e della capacità di iniziativa esterna del partito. Fu in quegli anni, infatti, che si cominciarono a fare feste dell’Unità in tanti comuni; si allargò la nostra presenza organizzata in tutta la provincia e cominciammo a cimentarci su tematiche nuove nella nostra iniziativa politica.

In particolare, fu molto importante l’iniziativa che il PCI riuscì a sviluppare – nella seconda metà degli anni ‘60 e poi negli anni ‘70 – sia sul territorio, con la mobilitazione di grandi masse, sia nelle istituzioni. Anche perché, proprio nella seconda metà degli anni ‘60, si avviarono processi che poi portarono al passaggio della provincia di Chieti da economia fondamentalmente agricola a economia industriale-agricola. 

Questo avvenne innanzitutto nel Vastese, dove il PCI fu parte importante della battaglia prima per l’utilizzo del metano anche in Abruzzo per scopi sia domestici che produttivi, e poi per l’avvio e lo sviluppo del processo di industrializzazione e di modernizzazione dell’agricoltura; e poi nel Sangro, con una lotta veramente di popolo sia per bloccare la Sangro-Chimica, la raffineria da installare – secondo i piani della DC - alla foce del Sangro e che avrebbe danneggiato sia l’ambiente che l’agricoltura e anche la possibilità di avere industrie come la Sevel che per portare avanti in generale un più complessivo e meno dirompente processo di industrializzazione. Anche nello Scalo di Chieti e nella vallata del Pescara fu importante il ruolo dei comunisti tra gli anni ‘60 e ‘70: sia per “umanizzare” il lavoro nell’area di sviluppo industriale e far entrare la democrazia e più equi salari nelle fabbriche, che per difenderne l’esistenza quando esse venivano messe in discussione (come nel caso della Marvin Gelber); ma anche – su un versante diverso, ma altrettanto decisivo per il progresso della regione: parlo della statizzazione dell’università D’Annunzio, alla quale i comunisti, sia di Chieti che di Pescara (a partire dai giovani studenti aderenti allora alla FGCI), diedero un grande contributo.

Mimmo fu tra i protagonisti delle battaglie che conducemmo in quegli anni all’interno di questi processi. Portandovi innanzitutto la serietà del suo impegno e insieme l’acutezza e la lucidità delle sue analisi e le capacità di relazione e di proposta che aveva maturato sia con l’esperienza che con lo studio. E anche una capacità di confronto che si fondava, ed era l’unica che potesse funzionare in un ambiente come quello del PCI, sulla lealtà reciproca e sull’assenza di ogni ipocrisia nei rapporti.

Queste qualità Mimmo se l’è portate con sé anche dopo che ha smesso di lavorare nel partito; e ha certamente dato, negli anni successivi, al PD e al centrosinistra nel suo complesso - un contributo largamente positivo e significativo.